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Ultimo aggiornamento: 19 settembre 2020

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E’ necessario cambiare, passare dalle parole ai fatti

Maggio 2014 - A cura di Luciano Mattevi
 

Il quadro normativo in materia di inquinamento acustico si compone, oramai da tempo, dalla Legge quadro (N.447/95), da innumerevoli decreti attuativi (più di 20) e da una serie di disposti "di corredo" che, nel tempo, hanno offerto una corretta interpretazione a determinati quesiti, fra i quali quelli relativi ai requisiti acustici passivi degli edifici, oltre all’interpretazione ministeriale sull’applicazione del c.d. “criterio differenziale”.

Fin qui nulla di anomalo, considerato che il nostro Paese rappresenta ancor oggi una delle realtà europee con il più alto tasso di regolamentazione. Alcune stime parlano di un corpus con oltre 200 mila norme. La Germania, tanto per facilitare un raffronto, pare ne disponga poco più di 35 mila. Ciò nonostante, molti degli adempimenti imposti dall’attuale impianto normativo di settore non hanno ancora trovato una loro completa attuazione, com’è di fatto accaduto per il risanamento acustico delle infrastrutture stradali e ferroviarie, i piani di contenimento del rumore comunali, la redazione della classificazione acustica, le limitazioni richieste in materia di requisiti acustici passivi degli edifici, l’adeguamento dei regolamenti locali di igiene e sanità o di polizia municipale. A tutti questi, inoltre, vanno a sommarsi le disposizioni imposte dal Parlamento europeo e del Consiglio in capo alla direttiva 2002/49/CE del 25 giugno 2002 relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, la quale impone, fra le altre cose, la predisposizione della mappatura acustica del territorio e l’avvio dei relativi piani di azione per quelle aree nelle quali risulti necessario programmare un contenimento delle emissioni sonore.

Ciò considerato, anche l’Acustica non può venire estraniata da una impellente esigenza in capo al sistema nazionale di voler fissare degli obiettivi chiari e perseverare nella maturazione dei risultati, premiando gli sforzi di quelle Amministrazioni che, più di altre, in questi anni sono apparse particolarmente virtuose, dimostrandosi attente nell’adempiere alle disposizioni impartite dal sistema centrale nonostante, finora, non abbiano trovano occasione di trarne sufficienti benefici, magari destinando loro un maggiore finanziamento.

Il quadro che ne emerge è spesso increscioso dal momento che, in ambito nazionale, la gestione del rumore ambientale avviene in modo disomogeneo, con reazioni che sono diverse a seconda delle aree del territorio in cui questa trae origine, confidando, spesso, più sulla volontà di specifiche esigenze locali piuttosto che sulle virtù di un preciso disegno della Nazione, con il risultato che la salvaguardia del cittadino è, spesso, imprescindibile dal territorio in cui questa si sviluppa.

Ancor oggi, molti interventi ripropongono discussioni sugli effetti che il rumore provoca sulla salute degli individui, sugli adempimenti richiesti al riguardo per contenerne gli effetti, nonostante queste questioni siano oramai conosciute da tempo. Eppure, si persevera nell'enucleare le medesime argomentazioni che da tempo vengono spese quando di parla di inquinamento fonico, ma cosa in concreto si è fatto per arginare questo disagio? Quali opere sono state realizzate per ridurre efficacemente questa forma di inquinamento?

La risposta a queste domande può essere, almeno per una piccola parte, desunta dalle numerose lettere che giungono alla Redazione e che sono pubblicate nella sezione “Disturbo da rumore” nelle quali, con stupore, ritroviamo, come in un fantomatico girone dantesco, il perenne ed inesorabile riproporsi di problematiche diffusamente comuni, quasi come se gli effetti prodotti dall’impianto normativo vigente non avessero ancora avuto occasione di attecchire, sapendo intervenire efficacemente nel prevenire l’insorgere di una problematica di rumore o di risolverla rapidamente, nel momento in cui questa ha occasione di emergere.

A questo punto, forse è giunto il tempo di voler sostituire le parole ai fatti e, rimboccandosi le maniche, lavorare, lavorare, …lavorare. Ma per lavorare è necessario poter disporre di adeguate risorse che oggigiorno così faticosamente possono arrivare dal settore pubblico, oramai asfittico, giacché sovraccaricato dagli effetti di un debito che, almeno nell'immediato, difficilmente può conoscere un'ulteriore espansione. Di conseguenza i mezzi andrebbero ricercati altrove, magari incentivando quel settore privato, che oggi racchiude importanti risorse, a voler riconoscere alla società parte di quanto, a vario titolo, questo ha saputo o potuto beneficiare.

 

 

 

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